5+1 cose che abbiamo imparato in quest’estate di caos climatico
🌍 Il colore verde #71: Cosa rimane di questi mesi di caos climatico? Più paura, ma anche consapevolezza: ora tocca a noi
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Oggi ripassone climatico, prima di settembre. Utile per chi ha sempre il flusso di informazioni e ora vuole segnare i punti chiave, ma anche prezioso per chi – come succedeva sempre a scuola – ha aspettato l’ultimo momento per fare i “compiti per le vacanze”.
Un bignamino in 5+1 punti per ricordare cosa abbiamo imparato quest’estate, da stampare e nascondere nelle maniche della maglia al prossimo aperitivo.
1. Tanto vale chiamarlo caos climatico
Cambiamento climatico era troppo soft. Crisi climatica troppo vago. Emergenza non funziona bene, perché ogni giorno c’è un’emergenza diversa, dal Covid alle guerre. Allora chiamiamolo caos climatico: il mondo è soggetto a eventi meteorologici estremi sempre più imprevedibili, insopportabili e insostenibili. Acqua, ghiaccio, terra, fuoco: l’umanità ha avuto, quest’estate più che mai, la prova di aver perso il controllo del Pianeta che per tanti anni pensava di avere conquistato.
2. Nessuno è escluso
Ci siamo accorti che il pericolo di un clima più caotico è dietro l’angolo per tutti, anche nei luoghi e nei Paesi meno sospetti. Le alluvioni che hanno ucciso 184 persone in Germania tra il 12 e il 15 luglio scorso sono l’esempio più vivido e feroce: persino la Germania – dal clima storicamente mite e dalle infrastrutture e costruzioni solide – non si salva di fronte ai crescenti pericoli idrogeologici.
In California sono scomparse nelle fiamme intere città, in Turchia gli stessi luoghi colpiti dagli incendi pochi giorni dopo sono stati sommersi dalle alluvioni. È piovuto a più di 3.000 di altezza in Groenlandia. Le ondate di calore hanno fatto migliaia di vittime in Canada. La metro di Zhengzhou è stata sommersa da una bomba d’acqua: i passeggeri sono annegati dentro le carrozze.
3. Non è solo un problema della scienza
Il climate change non è solo una faccenda climatica. Lo sappiamo da sempre, lo stiamo capendo ora: è una questione politica, è sociale, è economica, è tecnologica. Non ci sono innovazioni che possono risolvere il problema in un colpo solo. E i rimedi che risolvono una questione scientifica ma allargano le diseguaglianze socioeconomiche – all’interno della stessa comunità o a livello globale – non sono vere soluzioni.
Ecco perché dobbiamo coltivare il nostro senso collettivo di giustizia climatica: il prezzo dell’emergenza non può essere pagato solo dalle popolazioni più povere e fragili, che tra l’altro sono quelle che meno hanno responsabilità nella crescita dei gas serra in atmosfera.
Qualche puntata fa avevo mostrato una foto scattata a inizio luglio, quando il nord ovest degli Stati Uniti e il Canada subivano temperature record sopra i 45 gradi: mostra un cooling center di Portland, ovvero una palestra climatizzata adibita a rifugio per i cittadini. All’interno c’erano molti senzatetto, ma anche famiglie povere che vivevano in appartamenti senza climatizzazione. Non mi sembra questo il futuro da desiderare.
4. È colpa nostra. «Inequivocabilmente». Ma…
Il 9 agosto è uscito il rapporto del Ipcc, l’organo delle Nazioni Unite dedicato al clima. Si basa su 14.000 studi scientifici e dice che il surriscaldamento globale è inequivocabilmente colpa dell’umanità: negli ultimi 150 anni abbiamo immesso nell’atmosfera una quantità altissima di gas serra bruciando fonti fossili come petrolio, carbone e gas. La temperatura media globale è salita di 1,1°C rispetto alla temperatura “pre-industriale” ed il trend ci porterà presto a +1,5°C. Sembra poco, ma un po’ come le linee di febbre in un corpo umano, bastano pochi gradi per cambiare i complessi equilibri del Pianeta. Già a +2°C gli scenari sono gravi, con stravolgimenti a catena persino difficili da prevedere.
Il rapporto è uno dei più spaventosi mai pubblicati, ma ha contiene anche un messaggio di speranza: gli Stati, le aziende, i singoli possono ancora farcela a tenere sotto controllo il surriscaldamento. Dobbiamo raggiungere emissioni nette zero entro pochi decenni. Abbiamo gli strumenti – energia rinnovabile, trasporti più sostenibili, manifattura più green, tecnologie per assorbire la CO2, gestione delle aree naturali – per arrivare lì, ma dobbiamo impegnarci davvero, e tutti.
5. Non possiamo più essere “Nì clima”
La dico semplice: chiunque – singoli, aziende, Stati – abbia compreso la scienza dietro il climate change, cogliendone la situazione emergenziale, ma allo stesso tempo non ha ancora agito allora si comporta esattamente come un “No clima”.
Tornando al clima: si tratta – come ha scritto Jonathan Freedland sul Guardian – «di un negazionismo comportamentale o pratico», non tanto diverso da quello espresso di certi “Nì vax”, che non si schierano attivamente contro i vaccini, ma rimangono in un limbo di ambiguità. «Si tratta di una mentalità che accetta e capisce la scienza del climate change, ma che non fa ancora nulla per cambiare il proprio comportamento».
Insomma: se sei un “Nì clima”, con le idee chiare ma i comportamenti traballanti, è il momento di agire. E agire davvero: settembre è il mese giusto per cambiare il modo con cui ti sposti in città, per passare a forniture energetiche basate su fonti rinnovabili, rivedere acquisti e diete. E la stessa cosa vale, dieci volte di più, per le aziende e per i politici.
+1: persino i talebani se ne sono accorti
Come fa notare la newsletter di Wired “Non scaldiamoci”: addirittura i talebani hanno parlato di cambiamento climatico. Nonostante l’Afghanistan stia vivendo giorni difficilissimi, Abdul Qahar Balkhi, giovane leader taliban, ha detto a Newsweek:
«Crediamo che il mondo abbia un’opportunità unica di riavvicinarsi e riunirsi per affrontare le sfide che non solo noi ma l’intera umanità si trova a fronteggiare. Queste sfide vanno dalla sicurezza mondiale al cambiamento climatico».
Niente di concreto ovviamente. Si tratta di un’operazione diplomatica – spiega Enrico Pitzianti – e soprattutto una manovra di greenwashing, ovvero una strategia comunicativa di facciata per sembrare più attenti alla sostenibilità. Una frase che, però, ci fa capire come il tema sia diventato mainstream e di interesse globale.
📰 I link
Un approfondimento di Will Media su Instagram che risponde alla domanda: “Per salvare il Pianeta dobbiamo smettere di mangiare carne?”.
Vatti a fidare della finanza verde: un’analisi su 593 fondi azionari identificati come ESG (quindi votati alla sostenibilità) ha scoperto che ben 421 non sono allineati agli obbiettivi degli Accordi di Parigi. Molti, infatti, sono ancora legati ad aziende che operano con fonti fossili.
Una storia abbastanza brutta che però ci insegna a fidarci poco dei progettoni “verdi”: a Dubai dovevano piantare 1 milione di alberi, e hanno iniziato a farlo con un progetto ambiziosissimo. Poi tutto è andato a rotoli, racconta il Guardian: per interessi ecomici, ovviamente.
Penguin, storica casa editrice americana, ha lanciato una collana di libri dedicati alla sostenibilità: si chiama “Green ideas” e ha l’obbiettivo di diventare una sorta di “canone letterario dell’ambientalismo”.
Un articolo vecchio quasi 2 anni che torna utile quando devi fare i powerpoint sul climate change:7 grafici per capire come è cambiato il clima tra 2010 e 2020. (Molto americanocentrici, ma rendono l’idea).
Che aspetto avranno le case “eco-friendly” del futuro? Un’analisi del Guardian.
La ricetta della Polonia per eliminare il carbone dal mix energetico? Energia eolica e una centrale nucleare da costruire in soli 10 anni. Giuliana Ricozzi su Linkiesta.
Estrarre i metalli dalle piante anziché dalle miniere: una possibile – anche se piccola – soluzione per il futuro. Su Il Post.
👇 La cosa più bella
La cosa più bella che vedrai questo weekend? La nuova opera di land art di Saype, artista franco-svizzero che seguo come una religione. Realizzata – con pitture biodegradabili – sulla vetta del Moléson, in Svizzera, mostra un bambino rivolto verso l’orizzonte che “soffia le nuvole”, con il bastoncino tipicamente usato per fare le bolle di sapone. L’opera si intitola “un nouveau souffle”, un nuovo respiro.
So cosa vuoi vedere ora: il profilo Instagram di Saype è qui.
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