Dobbiamo vietare le criptovalute?
🌍 Il colore verde #90: "Estrarre" bitcoin consuma tantissima elettricità. Per far fronte alla crisi energetica, alcuni Paesi hanno deciso di bloccarne le attività
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Notizia di questa settimana: il Kosovo ha vietato il mining di criptovalute per far fronte alla crisi energetica che sta colpendo il Paese (e in generale tutta Europa e grandi parti del mondo).
Non è il primo Stato a vietare o limitare le attività informatiche legate ai Bitcoin e simili valute virtuali. Negli scorsi anni le restrizioni sono arrivate in Cina, in India, in Iran, Kazakistan, Nepal e ancora altri. In alcuni Paesi il divieto nasce da questioni finanziarie (le criptovalute sono troppo volatili), in altre etico-religiose, in altre – come il caso del Kosovo – per questioni energetiche.
Perché energetiche? Perché estrarre criptovalute, un processo chiamato mining, consuma tantissima energia. Provo a semplificare la questione anche ai meno appassionati di cose informatiche.
Le criptovalute sono monete virtuali che non si appoggiano su un organo centrale che le crea e le regola, cosa che accade invece con qualsiasi valuta reale – tipo l’Euro con la Banca centrale europea.
All’opposto le criptovalute si appoggiano su una rete decentralizzata formata da tanti e anonimi “nodi”: la cosidetta blockchain, letteralmente catena di blocchi. Questi blocchi sono i computer, una rete sempre più vasta di computer, attraverso i quali passano dei pezzetti sparpagliati di informazioni.
Se devo mandare dei soldi al mio amico Mario, tramite Bitcoin – la più famosa criptovaluta –, la transizione non passa per una strada diretta come farebbe un classico bonifico bancario, ma deve passare per i computer connessi alla blockchain, che garantiscono attraverso calcoli e algoritmi anonimato e indipendenza. In un’immagine iper-semplificata: è come se spezzettassimo una banconota per poi chiedere a tutti i nostri amici di passarne un piccolo frammento ciascuno a Mario.
Il sistema delle criptovalute ricompensa tutti i computer connessi alla blockchain con una minima frazione della criptovaluta stessa. Questa forma di ricompensa è detta “mining”, estrazione. E più un computer è in grado di gestire transazioni, ovvero è più potente, più viene ricompensato.
Negli ultimi anni, come ormai sappiamo tutti, l’interesse per le criptovalute è cresciuto tantissimo, provocando fortissime speculazioni nel settore: un bitcoin nel 2012, quando scrissi alcuni articoli sul tema, valeva circa 5€. Nel 2015 300€. Oggi più di 37.000€. Questa crescita esponenziale ha attirato sempre più persone e aziende a sfruttare il sistema per estrarre criptovalute rimanendo connessi alla blockchain.
Significa milioni e milioni di computer connessi e sfruttati alla massima potenza solo per questa attività. Sono addirittura nate le mining factory, enormi stanzoni pieni di computer che non fanno altro che estrarre bitcoin.
Ormai hai capito il problema: quanta energia serve per tutto ciò? Tantissima. Si stima che solo per i bitcoin si consuma tanta energia quanto tutta l’Argentina. 143 Terawatt/ora nel 2021. Se poi l’energia consumata non è verde, come spesso succede in giro per il mondo, allora il problema diventa anche climatico. Il mining dei bitcoin emette più CO2 del industria estrattiva dell’oro e del conio delle monete tradizionali messi insieme.
Delle tante attività poco sostenibili che l’essere umano si è inventato, questa sicuramente è nella classifica delle più dannose. Invisibile e virtuale da una parte, ma con effetti molto reali dall’altra. Anche perchè molte criptovalute hanno già perso il loro senso originario – ovvero una moneta equa e indipendente – e si sono trasformate in strumenti di pura e selvaggia speculazione.
Il Kosovo ha messo al bando il minimg dopo mesi di frequenti blackout. Ieri le forze dell’ordine del Paese hanno annunciato il loro primo colpo al settore: un sequestro di 70 computer in un piccolo appartamento di Mitrovica.
Il Kazakistan sta vivendo giorni di rivolte e tumulti in seguito all’aumento dei prezzi dell’energia: i consumi nel Paese, anche a causa del crescente mining di criptovalute, sono schizzati alle stelle.
Il problema sarà sempre più frequente: perché la ripartenza post-Covid sta richiedendo più energia di quanta sia disponibile. Aggiungere anche il peso delle criptovalute è una delle gocce che può far traboccare il vaso.
Ecco perché sempre più soggetti vietano o vogliono vietare le criptovalute che consumano molta energia. Lo scorso novembre il tema ha raggiunto anche l’Unione europea. L’ente che regola la finanza svedese ha chiesto all’Europa di vietare totalmente il mining: perché consuma troppa energia e ci allontana dagli obbiettivi di sostenibilità e il famoso target del +1,5°C della temperatura media globale rispetto al periodo pre-industriale.
Forse ti viene in mente una controtesi: basterebbe accelerare la transizione energetica e produrre tutto con fonti rinnovabili. Così l’impatto ambientale sarebbe molto minore, giusto?
Non è così. Ti do qualche numero: l’energia per estrarre un nuovo bitcoin è la stessa che consuma in sei settimane una grande casa americana. E considera che ogni giorno vengono estratti circa 900 bitcoin, e un numero indefinito di altre criptovalute. L’energia usata per i bitcoin è cresciuta di dieci volte negli scorsi cinque anni, e crescerà ancora: già oggi il consumo annuale del mining dei bitcoin è sette volte più grande dei consumi di tutta Google. La CO2 emessa è così tanto che controbilancia tutta quella risparmiata dall’introduzione delle auto elettrica. Se vuoi approfondire, qui trovi un articolo multimediale del New York Times.
Nel 2021 sono nate molte nuove criptomonete sostenibili, che hanno impatto e consumo energetico minore, come Chia o Signum. Ma lo sforzo rimane troppo limitato e le speranza di rendere più verde il settore ormai sta svanendo, come ha scritto proprio in questi giorni il Financial Times.
Quindi rifaccio la domanda: dobbiamo vietare – o almeno regolare – le criptovalute per salvare l’energia e il Pianeta?
📰 Link, Link, Link
Dati significativi: nel 2021 si è battuto il record annuale di temperatura in almeno 10 Stati. Lo studio di un climatologo sul Guardian.
“Dov’è finita la neve sulle Alpi?”. L’intervista di Tommaso Perrone alla meteorologa Serena Giacomin su Lifegate.
L’altro dibattito della settimana: la Comissione europea vorrebbe considerare “sostenibili” gli investimenti nel nucleare e nel gas, inserendo queste due fonti nella ormai celebre tassonomia verde del Green New Deal.
“Buoni propositi per un 2022 più ecofriendly”. Su Linkiesta il punto di Riccardo Liguori, con i pensieri di Antonello Pasini, Letizia Palmisano e un mio piccolo contributo.
Visto dall’alto: i benefici di una buona gestione delle foreste in Oregon per ridurre la devastazione degli incendi. Sul New York Times.
Cercando 78 termini legati al climate change e all’ambiente su Google, un annuncio pubblicitario su cinque è di aziende legate alle fonti fossili. Lo studio sul Guardian.
👇 La cosa più bella
Un pettirosso, anzi, un pettirosa (Petroica rodinogaster) e un scricciolo azzurro splendente (Malurus splendens): due rari e bellissimi uccelli australiani che sembrano usciti da un catalogo della Pantone. Li hanno fotografati e catalogati Duade Paton e Matthew Jones per il volume Australian Birds in Pictures.
💌 Per supportarmi
Se ancora non mi conosci, ciao! Sono Nicolas Lozito, sono friulano, sono un giornalista e ho 31 anni. Curo questa newsletter da marzo 2020. Esce ogni sabato e da poco ha anche vinto un premio, assegnato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici. Ho fatto anche un podcast: Climateers, sulle pionieri e i pionieri dell’ambientalismo. Se vuoi darmi una mano:
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