Lacrime nella tempesta
🌍 Il colore verde #224 L'alluvione che ha colpito Valencia ha un nome, un'origine e il suo impatto così violento ha delle responsabilità. Mettiamo in fila tutto
Poteva andare peggio di così? No. Nel sud-est della Spagna si è presentata la peggiore dell’equazione dei disastri:
Una quantità di pioggia che in media cade in un anno intero
Infrastrutture, città, cittadini impreparati
Fragilità idrogeologica
Politica e amministrazione locale disattenta o, peggio, inadeguata a capire l’emergenza e dare l’allarme in tempo
“Ognuno di noi conosce almeno una vittima”
Bilancio: almeno 205 morti, 121.000 sfollati, ma il conto è ancora in aggiornamento, perché i dispersi sono tantissimi. E la situazione è tornata a peggiorare con le piogge di ieri sera. Come ha raccontato una donna alla Bbc: “Ognuno di noi conosce almeno una persona che è morta in questo disastro”.
È la tipica frase che pronuncia una persona di un Paese in guerra. Cadaveri ovunque. Intrappolati in auto, nei garage, trascinati via dalla corrente, travolti dai detriti, spazzati via insieme a strade, ponti, case. In un istante o con inesorabile lentezza, annegati o soffocati cercando inutilmente l’ultima bolla d’ossigeno.
Tutte le scene dei film apocalittici che abbiamo visto si condensano in un giorno di devastazione e morte — reale, verissimo, vicinissimo a noi. Sono morti soprattutto anziani, bloccati al piano terra delle loro abitazioni o delle case di riposo; e bambini, perché le scuole non avevano chiuso in tempo.
Giampaolo Visetti su Repubblica ha raccontato:
«Le catastrofi succedono perché nessuno le obbliga a chiedere permesso. “L’altra sera – grida da una ruspa sommersa nel fango Hugo Romero, viticoltore di L’Alcudia – ero sull’argine del rio Magro. Volevo vedere se l’acqua saliva, nessuno dava lo straccio di una notizia. Nel buio ho visto un foro, usciva un rigagnolo. Un istante dopo il terrapieno è esploso: una valanga di terra e di acqua, gonfia di canne, alberi, sassi e copertoni, ha inghiottito il paese e le vigne”. Tutti qui si chiedono: “Come è stato possibile, perché hanno lasciato che accadesse”. Questa “Dana” non è stata una bomba annunciata, ma una strage consentita».
La “Dana” e il precedente del 1957
Cos’è Dana l’abbiamo imparato tutti: è l’acronimo spagnolo che si può tradurre come “depressione isolata ad alta quota”. La Dana si scatena quando una grande massa di aria fredda isolata ad alta quota forma una depressione che va a scontrarsi con l’aria calda in bassa quota. Questo contrasto crea piogge intense e temporali a “V” che si fanno ancora più forti in corrispondenza dei rilievi montuosi, che fanno da imbuto per la perturbazione. Un termine più ampio è “goccia fredda”, che abbiamo imparato a conoscere con le piogge in Emilia Romagna di ottobre.
Un fenomeno non così raro, in quella zona si ripetono alluvioni da sempre. Tanto che c’è un motivo per cui la città di Valencia ha evitato di essere colpita dal disastro: il corso del fiume è stato deviato negli Anni ‘60 come risposta a un’alluvione devastante del 1957. Da quella volta il fiume Turia passa a sud della città e il vecchio tratto è stato trasformato in un’area verde. Una protezione naturale per la città, ma anche un rischio per le zone limitrofe. Il “Plan Sur”, così si chiamava il progetto per deviare il fiume prevedeva la costruzione di un enorme bacino di sfogo, mai realizzato per mancanza di volontà politica e di fondi.
Ma mai prima d’ora la Dana era stata così potente. A Chiva sono caduti 490 millimetri di acqua (media annuale 450-500 mm), di cui 340 mm in quattro ore. Ormai abbiamo imparato a capire uno dei motori di queste perturbazioni: il calore dei mari.
Veniamo dai 14 mesi più caldi consecutivi mai registrati dall’essere umano. Tra maggio e settembre la temperatura media del Pianeta era superiore di 0,7 gradi rispetto la media del 1990-2020; e +1,54° rispetto il 1850. Il 30 settembre la temperatura superficiale degli oceani era di 20,87°C, un grado in più rispetto solo a 30 anni fa. Nel Mediterraneo la situazione è ancora più estrema: ad agosto si è registrato l’ennesimo record, con una temperatura superficiale che ha superato i 30 gradi. Il Mediterraneo si scalda il 20% in più rispetto alla media globale. L’Europa, insieme all’Artico, è la zona che più si è riscaldata negli ultimi cinque anni: +2,3°C gradi di media, contro il +1,3°C globale.
La formula che spiega il disastro
Ci sono due cose fondamentali da capire l’effetto del surriscaldamento globale sul meteo. Primo: se l’acqua è più calda evapora più velocemente, è abbastanza intuitivo. Secondo: se l’aria è più calda, trattiene più umidità.
Per capire questo secondo punto, ci dobbiamo affidare all’equazione di Clausius-Clapeyron, che risale al 1850 e studia gli equilibri di temperatura e pressione tra due fasi della stessa sostanza. Nel caso dell’acqua, si tratta del passaggio tra gassoso (vapore acqueo) e liquido (pioggia).
Usando l’equazione, possiamo stabilire la quantità di acqua che può essere presente in un volume d’aria in funzione della temperatura: per ogni aumento di temperatura di 1°C, l’atmosfera aumenta la propria capacità di trattenere acqua di circa il 7%. Cosa significa, nella pratica? Immaginatevi l’atmosfera come una spugna.
L’atmosfera oggi, riscaldata dal cambiamento climatico, è una spugna più efficace rispetto a un tempo. È una spugna di alta qualità — quelle che si vedono negli spot pubblicitari. È capace di assorbire più acqua di una normale spugna. Ma quell’acqua assorbita rimane tra le fibre della spugna. Quindi quando la strizziamo esce più liquido del solito. Andiamo oltre la metafora e il risultato è che ci sono periodi più lunghi senza piogge, visto che l’aria calda trattiene più vapore acqueo, ma poi quando l’atmosfera è satura si sfoga con molta più intensità.
Non abbiamo scoperto queste cose a Valencia. Lo sappiamo da anni, ci sono studi precisissimi di almeno dieci anni fa che spiegano come il Mediterraneo si presta in maniera perfettamente tragica a queste condizioni intensificate dal cambiamento climatico antropico: perché molte aree sono circondate dal mare, perché qui si scontrano correnti calde da Sud e fredde da Nord, perché la conformazione morfologica di molte regioni tende a trattenere le perturbazioni (vedi l’esempio dell’Emilia Romagna e della Pianura Padana chiusa tra Appennini e Alpi).
Uno studio di rapidissima attribuzione del World Weather Attribution* ha stabilito che le piogge sono state rese 12% più forti dal cambiamento climatico e ha raddoppiato la possibilità che si verificasse questa alluvione. (*Il WWA è l’ente che determina se c’è un rapporto diretto di causa-effetto tra cambiamento climatico e singolo evento meteo. Qui avevo intervistato la fondatrice).
Come un sisma, ma prevedibilissimo
Conosciamo da decenni i rischi del cambiamento climatico, e da anni ormai lo saggiamo periodicamente sulla nostra pelle. In questi giorni gli scienziati lo stanno ripetendo ai media, sperando di essere finalmente ascoltati. In un’intervista a Carlo Cacciamani, meteorologo di ItaliaMeteo, il giornalista dice: “Le descrizioni del nubifragio sembrano quelle di una città colpita da un sisma”. Lui risponde:
“Con una grande differenza: una precipitazione, anche intensa, si può prevedere. C’è un’incertezza che cresce man mano che si cerca di scendere nel dettaglio, ma le allerte esistono. Dobbiamo imparare a leggerle e modificare i nostri comportamenti”.
Eppure martedì 29 ottobre, poche ore prima della tragedia, il presidente della Generalitad Valenciana, Carlos Mazón, non era allarmato. Ha pubblicato un video sui social dove dice: “Secondo le previsioni il temporale si sta spostando, cosa che fa sperare che intorno alle ore 18 diminuirà la sua intensità in tutto il territorio. Considerato quello che sta succedendo, le cose stanno andando avanti fortunatamente senza danni materiali e senza allerta idrologica”.
Il video è delle 13 e viene cancellato a mezzanotte. Nel frattempo, la fine del mondo.
Mazón fa parte del partito Popolare e governa la regione appoggiato anche dall’estrema destra di Vox. Il governatore parla di allerta idrogeologica come fosse una sfiga da evitare, un contrattempo. L’agenzia statale di meteorologia, invece, aveva mandato messaggi dal giorno prima. Emana l’allerta rossa alle 7 di mattina del 29, ma nonostante questo il governo locale sceglie di non chiudere fabbriche, scuole e negozi. L’unica a scegliere autonomamente la chiusura è l’Università. Il messaggio di allerta — gestito dalle regioni e non dallo Stato — arriva sui cellulari appena alle 20.03, quando ormai è troppo tardi.
Un anno fa l’amministrazione regionale guidata da Mazón aveva deciso di sopprimere l’Unidad Valenciana de Emergencias, creata dal predecessore socialista Ximo Puig per migliorare la risposta alle calamità naturali. Su pressione di Vox, che voleva ristrutturare i servizi pubblici per ridurne i costi, il governatore aveva infatti definito l’unità troppo dispendiosa. Gli esponenti di Vox, in queste ore, hanno accusato il governo centrale di non aver fatto abbastanza.
C’è un video che è circolato ieri online, mostra la tragedia avvenire in meno di cinquanta minuti. Guardatelo:
Ma dopo l’acqua c’è tutto il resto del disastro. La mancanza di corrente, di cibo, di strade percorribili, assistenza negli ospedali. Ieri cittadini dalle zone vicine hanno creato una catena umana per portare gli aiuti.
Le nostre responsabilità
Disastri del genere hanno tante responsabilità. Sappiamo che c’è una responsabilità climatica ormai evidente, ci mostra quanto la nostra specie abbia influenzato gli equilibri di tutto il Pianeta e ormai nessun luogo si può dire esente da disastri. Ma c’è anche una responsabilità politica. Chi sceglie di non scegliere, chi ritarda gli allarmi, chi nega, chi costruisce senza lasciare spazio alla natura, chi dimentica la prevenzione, le regole, il buon senso, chi pensa che ancora oggi il profitto sia l’unica cosa che conta, chi pensa che il cambiamento climatico sia solo uno dei nostri problemi quando è il rischio numero uno per il nostro futuro. Tutti loro, o forse tutti noi in fin dei conti, abbiamo la responsabilità dei morti di Valencia. Dei morti dell’Emilia Romagna. Della Florida. Delle Filippine. Del Niger. Del Bangladesh.
Se per qualche strano motivo avevamo pensato di essere la specie dominante, oggi evidentemente non lo siamo più. Abbiamo evocato una potenza a cui non sappiamo mettere più freno. La cosa che più mi addolora è sapere che prima o dopo ci sarà una nuova Valencia e ricominceremo tutto da capo.
🇺🇸 E ora arrivano pure le elezioni americane!
Per non farci mancare nulla, martedì c’è il rischio che Trump vinca le elezioni. Ho riassunto le sue posizioni sul clima e quelle di Harris in questo articolo. È un’analisi lunga e approfondita, anche se è facile da riassumere: con The Donald siamo spacciati.
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⚠️⚠️⚠️ Oggi, viste le brutte notizie, ho eliminato lo spazio della verde speranza e dei “link belli”. Credo possiate capire. Vi lascio, in ogni caso, l’arca fotografia.
Due leprotti di montagna nelle Highlands scozzesi si sbaciucchiano (o almeno così sembra): si sono evolute per diventare bianchissime e mimetizzarsi tra le nevi. Le foto sono di un bellissimo servizio del National Geographic.
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Hey, uno dei pezzi più completi che abbia visto in questi giorni! 👏👏